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15/04/2015

Quali sono gli interventi che le Regioni stanno orchestrando e mettendo in campo per far fronte alle risorse perdute? SSN SOTTO ATTACCO di Carlo Palermo, Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

L’abolizione delle logiche di mercato e aziendalistiche in sanità, della competizione e della separazione tra committenti e fornitori nonché la richiesta che il servizio pubblico torni ad essere il principale attore e motore del Ssn, dovrebbero essere avanzate con forza da tutti i medici e dai cittadini alle forze politiche

 

Il nostro Fondo Sanitario Nazionale (FSN), considerando i dati OCSE 2014, risulta sotto-finanziato rispetto alla media di tutti i paesi europei. Il differenziale negativo raggiunge i 30 miliardi di € se il confronto è fatto con Francia e Germania. Nel solo periodo 2012-2014, secondo la Commissione di indagine parlamentare sulla sostenibilità del SSN, il FSN ha subito tagli per oltre 23 miliardi, sostanzialmente confermando quelli calcolati dalle Regioni in 31,5 miliardi di € nel periodo 2011/2015. Con tali presupposti, l'ulteriore taglio di 2,5 miliardi di € previsto per l'anno in corso dalla Legge di Stabilità e accettato supinamente dalle Regioni, va ben oltre un piccolo aggiustamento “congiunturale” rappresentando un altro grave colpo alla tenuta e all'efficacia del servizio sanitario nazionale (SSN).

Le Regioni stanno discutendo in assoluta autoreferenzialità su come realizzare questi tagli, senza alcun confronto e senza rendere esplicito come sia possibile che un intervento simile non determini ricadute pesanti sui servizi e sulle prestazioni.

Quali sono gli interventi che le Regioni stanno orchestrando e mettendo in campo per far fronte alle risorse perdute?

Consumate le poli­ti­che di com­pa­ti­bi­lità attuate nell’ultimo decen­nio (ristrutturazione della rete ospedaliera, centralizzazione e limitazione degli acquisti di beni e servizi, politiche del farmaco, introduzione di logiche di mercato, ticket), oggi le Regioni stanno met­tendo mano a processi di “rior­dino” che in realtà rappresentano una destrut­tu­ra­zione con­tro-ri­for­ma­trice del sistema (Ivan Cavicchi). Le linee di intervento che emergono sono essenzialmente le seguenti:

  • cen­tra­liz­za­zione della gover­nance con con­se­guente liqui­da­zione delle aziende e della loro orga­niz­za­zione ter­ri­to­riale, in genere corrispondente alla provincia, per arrivare a macro-aziende uniche regionali o di area vasta (vedi provvedimenti attuati o in corso di attuazione in Emilia Romagna, Marche, Toscana, Calabria), incrementando così la complessità gestionale e rendendo nel contempo più difficili i controlli contro abusi e frodi in una Italia che svetta nelle classifiche europee per il tasso di corruzione;

  • pri­va­tiz­za­zione di parte dei con­sumi sanitari attra­verso offerte di prestazioni sanitarie gestite dall’intermediazione finanziaria che non integrano ma sosti­tui­scono lo Stato nei suoi doveri di tutela (universalismo selettivo);

  • taglio mas­sic­cio di posti letto degli ospe­dali (- 71.000 dal 2000 al 2014) e del personale sanitario, attraverso l’implementazione dell’organizzazione per intensità di cura e dichiarazioni di “esubero”, che si sommerà alla falcidia condotta da anni con il blocco del turn over (-24.000 unità di personale nel 2013 rispetto al 2009). Tutto ciò renderà l’accesso alle cure sempre più difficile, spingendo le classi più abbienti verso l’offerta privata anche grazie ai super ticket differenziati per fasce di reddito;

  • da ultimo, la vera novità, decapitalizzare il lavoro professionale considerandolo non il vero valore del sistema ma il prin­ci­pale costo da aggredire e svilire.

La Toscana, attraverso processi di task shifting nel settore sani­ta­rio, sequenziali e regressivi, teo­rizza la pos­si­bi­lità di togliere man­sioni ai medici per darle agli infer­mieri, togliere man­sioni agli infer­mieri e darle a gene­ri­che figure di assi­stenza (Oss). L’Emilia Roma­gna ha pre­di­spo­sto, ma non ancora approvato, una deli­bera sull’assistenza a domi­ci­lio che inte­ressa in particolare i malati anziani e non auto­suf­fi­cienti, con la quale toglie man­sioni agli infer­mieri e agli Oss per darle alle badanti per le quali pre­vede corsi di for­ma­zione di poche ore. De-capitalizzare il lavoro, come realizzato con il blocco dei contratti dal 2010 a tutto il 2015 (il DEF 2015 prevedrebbe l’estensione dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2019) e progettato con il comma 566 della Legge di Stabilità 2015, significa non solo congelamento del suo costo economico, ma soprattutto la sua svalutazione con lo scopo finale di tagliare nel tempo il mercato del lavoro riducendo gli attuali livelli occupazionali. La legge di riordino della Toscana implica, per esempio, la liquidazione di circa 2000 posti di lavoro per ottenere un risparmio dichiarato di 100 milioni di € nel periodo 2015/2016. Ugualmente la previsione di un doppio canale di ingresso per i medici nel sistema sanitario (disegno di legge delega ex articolo 22 del Patto sulla Salute) con l’assunzione a tempo indeterminato di medici abilitati ma senza specializzazione, rappresenta un tentativo di risparmiare sul costo del lavoro medico. Nello stesso filone di intervento possiamo includere il taglio lineare di strutture complesse e semplici (ovviamente solo ospedaliere visto che ai Magnifici e agli Amplissimi è disdicevole portare dispiaceri come al Re nella canzone di Dario Fo) che in alcune realtà regionali, come la Toscana, va ben oltre il livello previsto dagli standard ospedalieri appena approvati.

Ma la sostenibilità del sistema sanitario è raggiungibile solo attraverso operazioni che mettono a rischio l’erogazione dei livelli essenziale di assistenza e l’universalità delle cure o di attacco alle condizioni di lavoro e di vita del personale?

Secondo recenti dati presentati nell’incontro annuale della Fondazione Gimbe, gli sprechi nel SSN rappresentano una voragine che raggiunge i 25 miliardi di €, sottratti ai servizi essenziali, alla formazione del personale e all’innovazione strutturale e tecnologica del sistema. Di questi il 30%, circa 8 miliardi, sarebbe prodotto dal sovra utilizzo di interventi sanitari inefficaci, inappropriati o dai costi elevati rispetto ai benefici reali. In pratica, secondo Gimbe stiamo sprecando molto denaro in prestazioni che non servono, a causa dell'orientamento legislativo e giudiziario che induce alla medicina difensiva, della medicalizzazione della società e delle aspettative dei pazienti. A questi si aggiungono 5-6 miliardi di € (20%) erosi da corruzioni, frodi e abusi. Poco più di 4 miliardi verrebbero sprecati nell'acquisto di tecnologie sanitarie, farmaci e strumenti medici e di beni e servizi non sanitari, come mense e lavanderie, attraverso contratti capestro di project financing, collegati anche al finanziamento della costruzione di nuovi ospedali. Burocrazia, ipertrofia del comparto amministrativo e la scarsa diffusione delle tecnologie informatiche assorbono circa 3 miliardi.

Altre istituzioni, il Politecnico di Milano e lo stesso Ministero della Salute, prospettano risparmi variabili tra 7 e 14 miliardi di € con lo sviluppo della sanità elettronica, mentre l’introduzione dei costi standard e la centralizzazione delle gare d’appalto potrebbe comportare minori spese per 3-4 miliardi.

E’ difficile dire se questa congerie di numeri, che spesso fanno riferimento a capitoli economici che si sovrappongono, rappresenti una prospettiva reale di risparmio e sarebbe da chiedersi che livello di sprechi si annidi nella sanità di paesi come la Francia e la Germania che spendono nel settore circa 30 miliardi di € in più rispetto all’Italia. Spesso si dimentica che un certo grado di sprechi ed inefficienze rappresenta un dato fisiologico nel più complesso dei sistemi complessi. Così come passano nel dimenticatoio altre cifre confermate da vari centri di studi economici: l’evasione fiscale sottrae alla fiscalità generale la cifra stratosferica di 120 miliardi di € e la corruzione riduce la capacità di spesa pubblica di circa 60 miliardi ogni anno. Comunque, anche se la reale prospettiva di risparmio fosse limitata al 10-20% delle cifre indicate rappresenterebbe un contributo non trascurabile alla sostenibilità del sistema sanitario.

Come abbiamo visto, negli ultimi anni la tendenza al de-finanziamento del SSN è stata costante e ancora non si arresta. In futuro rischiamo di non avere risorse aggiuntive e non si potranno finanziare servizi essenziali e vere innovazioni se il Governo non incrementerà il finanziamento già a partire dal 2016 e le Regioni non avviano un processo di disinvestimento da sprechi, corruzioni ed inefficienze che si annidano nei loro bilanci per reinvestire in ciò che serve davvero.

La salvezza della “casa” in cui lavoriamo ed esprimiamo la nostra professionalità ed il nostro ruolo sociale passa anche attraverso un diverso atteggiamento dei medici. La sobrietà nei processi di diagnosi e terapia, l’appropriatezza organizzativa e prescrittiva, la collaborazione interdisciplinare e con le altre professioni sanitarie, la vigilanza sull’eticità dei comportamenti e la denuncia della corruzione, le necessità del paziente dovrebbero essere messe al centro del nostro agire quotidiano e del modo di essere professionisti. L’abolizione delle logiche di mercato ed aziendalistiche in sanità, della competizione e della separazione tra committenti e fornitori nonché la richiesta che il servizio pubblico torni ad essere il principale attore e motore del SSN, dovrebbero essere avanzate con forza da tutti noi e dai cittadini alle forze politiche, come è stato fatto recentemente in Inghilterra, per salvare una di quelle conquiste democratiche che caratterizzano il grado di civiltà di un paese.

 

 

 

 

 

 

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